23/05/2013, 00.00
VATICANO
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Papa: il vescovo non ceda alla prospettiva della carriera, alla lusinga del denaro, ai compromessi con lo spirito del mondo

Celebrando una liturgia della Parola con i vescovi italiani, Francesco disegna la figura dei pastori di anime, "capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela; attenti a rialzare, a rassicurare e a infondere speranza". "Dispiegare la propria vita secondo il progetto di Dio, impegnando tutto di sé per il Signore Gesù. Da qui sgorga quel discernimento che conosce e si fa carico dei pensieri, delle attese e delle necessità degli uomini del nostro tempo".

Città del Vaticano (AsiaNews) - "Essere Pastori significa credere ogni giorno nella grazia e nella forza che ci viene dal Signore, nonostante la nostra debolezza", significa "vigilare" su se stessi e il gregge, perché "la mancata vigilanza - lo sappiamo - rende tiepido il Pastore; lo fa distratto, dimentico e persino insofferente; lo seduce con la prospettiva della carriera, la lusinga del denaro e i compromessi con lo spirito del mondo; lo impigrisce, trasformandolo in un funzionario, un chierico di stato preoccupato più di sé, dell'organizzazione e delle strutture, che del vero bene del Popolo di Dio. Si corre il rischio, allora, come l'Apostolo Pietro, di rinnegare il Signore, anche se formalmente ci si presenta e si parla in suo nome; si offusca la santità della Madre Chiesa gerarchica, rendendola meno feconda". Papa Francesco disegna così la figura del pastore di anime, ammonendo contro i pericoli della "mondanità" e indicando la via giusta nella risposta da dare alla domanda che Gesù fece a Pietro: "Mi ami tu?", "Mi sei amico?".

Ruota intorno al senso da dare alla domanda di Gesù la riflessone del Papa sul compito e l'"anima" del vescovo, che Francesco ha fatto oggi pomeriggio prendendo occasione dal suo primo incontro con l'episcopato italiano, riunito in Vaticano per la sua 65ma assemblea generale.

Francesco e i vescovi italiani - in quanto vescovo di Roma anche il papa fa in qualche modo parte del gruppo "io vescovo condivido con voi", dice - sono nella basilica di san Pietro per una liturgia della Parola, al termine della quale rinnovano la loro professione di fede.

La meditazione che il Papa propone ai circa 300 vescovi presenti parte proprio dalla domanda che Gesù rivolse a Pietro. "La domanda è rivolta a me e a ciascuno di noi: se evitiamo di rispondere in maniera troppo affrettata e superficiale, essa ci spinge a guardarci dentro, a rientrare in noi stessi. «Mi ami tu?»; «Mi sei amico?». Colui che scruta i cuori si fa mendicante d'amore e ci interroga sull'unica questione veramente essenziale, premessa e condizione per pascere le sue pecore, i suoi agnelli, la sua Chiesa. Ogni ministero si fonda su questa intimità con il Signore; vivere di Lui è la misura del nostro servizio ecclesiale, che si esprime nella disponibilità all'obbedienza, all'abbassamento e alla donazione totale".

"Del resto, la conseguenza dell'amare il Signore è dare tutto - proprio tutto, fino alla stessa vita - per Lui: questo è ciò che deve distinguere il nostro ministero pastorale; è la cartina di tornasole che dice con quale profondità abbiamo abbracciato il dono ricevuto rispondendo alla chiamata di Gesù e quanto ci siamo legati alle persone e alle comunità che ci sono state affidate. Non siamo espressione di una struttura o di una necessità organizzativa: anche con il servizio della nostra autorità siamo chiamati a essere segno della presenza e dell'azione del Signore risorto, a edificare, quindi, la comunità nella carità fraterna. Non che questo sia scontato: anche l'amore più grande, infatti, quando non è continuamente alimentato, si affievolisce e si spegne".

"Chi siamo, Fratelli, davanti a Dio? Quali sono le nostre prove? Che cosa ci sta dicendo Dio attraverso di esse? Su che cosa ci stiamo appoggiando per superarle? Come per Pietro, la domanda insistente e accorata di Gesù può lasciarci addolorati e maggiormente consapevoli della debolezza della nostra libertà, insidiata com'è da mille condizionamenti interni ed esterni, che spesso suscitano smarrimento, frustrazione, persino incredulità. Non sono certamente questi i sentimenti e gli atteggiamenti che il Signore intende suscitare; piuttosto, di essi approfitta il Nemico, il Diavolo, per isolare nell'amarezza, nella lamentela e nello scoraggiamento. Gesù, buon Pastore, non umilia né abbandona al rimorso: in Lui parla la tenerezza del Padre, che consola e rilancia; fa passare dalla disgregazione della vergogna al tessuto della fiducia; ridona coraggio, riaffida responsabilità, consegna alla missione".

"Essere Pastori vuol dire anche disporsi a camminare in mezzo e dietro al gregge: capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela; attenti a rialzare, a rassicurare e a infondere speranza. Dalla condivisione con gli umili la nostra fede esce sempre rafforzata: mettiamo da parte, quindi, ogni forma di supponenza, per chinarci su quanti il Signore ha affidato alla nostra sollecitudine. Fra questi, un posto particolare riserviamolo ai nostri sacerdoti: soprattutto per loro, il nostro cuore, la nostra mano e la nostra porta restino aperte in ogni circostanza. Cari fratelli, la professione di fede che ora rinnoviamo insieme non è un atto formale, ma è rinnovare la nostra risposta al "Seguimi" con cui si conclude il Vangelo di Giovanni: porta a dispiegare la propria vita secondo il progetto di Dio, impegnando tutto di sé per il Signore Gesù. Da qui sgorga quel discernimento che conosce e si fa carico dei pensieri, delle attese e delle necessità degli uomini del nostro tempo".

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