10/05/2017, 16.40
INDONESIA
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La società civile: ‘Riscrivere’ la legge sulla blasfemia che ha condannato Ahok

di Mathias Hariyadi

La sentenza contro il governatore cristiano solleva tensioni e polemiche. Il reato di blasfemia pretesto per esercitare pressioni sociali e politiche nei confronti dei propri avversari. Surya Chandra: “Nel collegio dei giudici nessuna indipendenza di giudizio”. Antonius Yudo Prihartono: “L’articolo 156a del Codice penale articolo di gomma”. Ismail Hasani: “Qualsiasi opinione o affermazione diversa da quella del Consiglio islamico può esser definita blasfema”.

Jakarta (AsiaNews) – A poche ore dalla sorprendente sentenza di condanna a due anni di carcere inflitta al governatore di Jakarta Basuki “Ahok” Tjahaja Purnama, la società civile indonesiana invoca la revisione dell’articolo del Codice penale sulla blasfemia.

Nel frattempo, questa notte Ahok è stato trasferito dal centro di detenzione di Cipinang, East Java, in una struttura dell’Unità mobile della polizia nazionale a Depok, West Java. Il repentino trasferimento è stato disposto per motivi di sicurezza: il carcere dove era stato condotto il governatore ospita diversi detenuti anti-Ahok, alcuni dei quali ex funzionari del governo di Jakarta. Nella tarda serata di ieri, quando Basuki Tjahaja Purnama era ancora nell’ufficio delle guardie carcerarie, il personale di sicurezza aveva udito grida di minacce a suo indirizzo provenire dalle celle.

In precedenza, migliaia di sostenitori di Ahok si erano radunati presso il centro di detenzione di Cipinang per protestare contro il suo arresto e chiederne la liberazione. Tra di essi era presente anche Djarot Saiful Hidayat, che oggi ha prestato giuramento e assunto la carica di governatore di Jakarta ad interim. Questa mattina la folla si è poi trasferita presso il municipio cittadino. Gli organizzatori della manifestazione hanno raccolto le firme e le copie dei documenti dei presenti, nel tentativo di soddisfare i requisiti per offrirsi come garanti per il rilascio di Ahok.

La sentenza emessa dal tribunale di North Jakarta non cessa di sollevare tensioni e polemiche. Il collegio dei giudici ha disposto ieri una condanna più pesante di quella chiesta dai pubblici ministeri. I procuratori avevano lasciato cadere le accuse di blasfemia e avevano suggerito che Ahok fosse condannato a due anni di condizionale e ad un anno di carcere qualora avesse commesso un reato.

Hendardi, presidente del Setara Institute, afferma che la delibera dei giudici sul caso Ahok sottolinea la necessità di una profonda modifica dell’articolo 156a del Codice penale sulle offese contro la religione. In un comunicato rilasciato ieri notte, l’attivista per i diritti sottolinea come negli ultimi anni in Indonesia il reato di blasfemia sia stato più volte utilizzato da movimenti ed organizzazioni come pretesto per esercitare pressioni sociali e politiche nei confronti dei propri avversari. Hendardi dichiara che questo è accaduto anche per Ahok.

Negli ultimi mesi i movimenti islamisti radicali, avversi al governatore cristiano di origini cinesi, avevano intensificato le proprie attività per impedirne la rielezione ed ottenere una condanna che ne interrompesse la carriera politica. Per gran parte degli indonesiani è evidente che i giudici del processo abbiano risentito di tale pressione.

Secondo Surya Chandra, docente di legge presso l'Università Cattolica di Atma Jaya, South Jakarta, quanto accaduto nel processo di ieri è un male per la giovane democrazia del Paese. Egli afferma che il collegio dei giudici non ha dimostrato alcuna indipendenza di giudizio. Chandra accusa: “Non hanno preso in corretto esame le prove, piuttosto si sono concentrati su altro. Due cose hanno condizionato l’udienza finale di ieri: una forte pressione politica e un piano segreto per bloccare la trasformazione burocratica e le riforme di Ahok contro la corruzione tra i funzionari governativi”.

“L’articolo 156a del Codice penale (Kuhp) sulla blasfemia è un articolo di gomma”, ha dichiarato Antonius Yudo Prihartono, avvocato dell'AYP & Partner Office di Kudus, Central Java. “Nello lo stesso giorno, Ahok viene condannato a due anni di carcere, mentre un altro imputato a Klaten, Central Java, è dichiarato non colpevole e ottiene la sua libertà”. Prihartono fa riferimento ad un altro caso di blasfemia, denunciato dalla parrocchia di St. Joseph the Worker di Gondangwinangun, Klaten, in seguito alla dissacrazione di alcune statue della Vergine.

Secondo attivisti per i diritti umani, l’articolo 156a non rispetta le libertà personali ed è discriminatorio, in quanto non garantisce il diritto dei cittadini indonesiani ad esprimere e manifestare il proprio credo religioso. Ismail Hasani dichiara: “Qualsiasi opinione o affermazione diversa da quella della maggioranza e non conforme ai dettami del Consiglio islamico degli Ulema (Mui), può esser definita blasfema”.

L’articolo 156a non è la sola legge in materia di blasfemia. Ad esso si aggiunge la normativa statale 1/PNPS/1965. Queste direttive sulle offese alla religione sono vecchi prodotti “legali” emessi dal regime di Suharto per impedire la diffusione religioni diverse da islam, cattolicesimo, protestantesimo, buddismo, induismo e confucianesimo, riconosciute in via ufficiale dallo Stato. Fino al 1998, si sono svolti solo 10 processi per blasfemia. Dal 1998, anno della caduta del presidente Suharto, i casi sono aumentati in maniera decisa in conformità con la crescente politicizzazione della religione islamica in Indonesia, arrivando a oltre 50.

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