04/12/2017, 12.13
SIRIA - ONU
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I colloqui di pace Onu sulla Siria ostacolati dai diktat sauditi

Il rappresentante del governo siriano al Jaafari contro Riyadh e quanti operano in suo nome per la cacciata di Assad. L’ultimo round di incontri (Ginevra 8) si è concluso con un nulla di fatto. Il fronte delle opposizioni guidato dai sauditi non ha una vera rappresentatività sul terreno. Dal fronte russo-iraniano-turco di Sochi e Astana la speranza per un nuovo piano di pace. 

 

Ginevra (AsiaNews) - “I datori di lavoro dell’Arabia Saudita e quanti lavorano per l’Arabia Saudita non vogliono una soluzione politica in Siria”. È quanto ha affermato nei giorni scorsi Bashar al Jaafari, ambasciatore della Repubblica araba siriana all’Onu e capo delegazione di Damasco ai colloqui Onu a Ginevra, in un’intervista rilasciata all’emittente televisiva panaraba Al Myadeen. Nel durissimo atto di accusa il rappresentante siriano, noto per il suo linguaggio diretto, ha voluto rispondere alla rappresentante Usa alle Nazioni Unite che aveva preso le difese dei “ribelli armati islamici moderati in Siria”. Rivolgendosi alla delegata statunitense, Al Jaafari ha replicato che “il prezzo di una donna dell’età di molte di voi qui presenti è fissato in 40 dollari nel mercato di schiavi” gestito dai cosiddetti ribelli moderati “in Siria”. 

Nonostante le numerose critiche contenute nell’intervista, Al Jaafari ha voluto però sottolineare che l’ottavo round di incontri Onu a Ginevra (Svizzera) “è stato utile”. Difficile capire perché e a cosa, dal momento che essi appaiono come l’ennesimo fallimento: il mediatore Staffan de Mistura ha intrattenuto colloqui separati e non ha potuto mettere le due parti attorno al tavolo e farle discutere. 

Il motivo? Le pre-condizioni poste dalla delegazione delle opposizioni creata a Riyadh (che ha eliminato personalità emerse in passato), che ha alzato la posta chiedendo alla vigilia come pre-condizione “le dimissioni del presidente [Bashar al] Assad”.

La delegazione siriana ha in un primo momento rigettato la propria partecipazione, rifiutando di sedersi e discutere con persone che intendono “riportarci indietro” con rivendicazioni superate dalla geopolitica e dalla geo-strategia. Del resto nell’ultimo periodo il governo siriano ha riconquistato la sovranità e il controllo su oltre l’80% del territorio e sconfitto Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico, SI]. A convincere la delegazione siriana a partecipare è stato lo stesso de Mistura, il quale ha promesso che l’allontanamento del presidente siriano sarebbe stato “fuori discussione” e che “non ci sarebbero state riunioni intorno a un tavolo fra le due delegazioni”.

Bashar Al Jaafari, giunto a Ginevra proveniente da New York, ha definito ingiustificabile il fatto che il mediatore de Mistura abbia accettato tale proposta, che riportava le discussioni anni indietro senza aver obiettato alcunché. Anzi, egli “ha lodato” per tre volte di seguito quanto “compiuto dall’Arabia Saudita” e che è “sfociato in questo mostro, che è il comunicato dell’opposizione” frutto dell’incontro di Riyadh 2. Secondo Al Jaafari, l’inviato speciale Onu anziché lodare i sauditi avrebbe dovuto dire che “stavano mettendo a rischio i colloqui di pace a Ginevra”. Da qui la durissima presa di posizione del rappresentante siriano, che ha ritenuto inammissibile il comunicato chiedendone “il ritiro” prima di tornare al tavolo dei negoziati” e di proseguire “seriamente in futuro nel processo di Ginevra”.

Vi è poi la questione della delegazione degli oppositori cosiddetti “di Riyadh”, per distinguerli da quelli del Cairo o di Istanbul ed altri, composta da molte persone che vivono in alberghi di lusso all’estero, senza rappresentatività interna ed estranei dalla realtà dei fatti sul terreno. Essi sono ben lungi dal rappresentare “tutte le fazioni delle opposizioni”, come detta la Risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza Onu. Lo stesso emissario Staffan de Mistura lo avrebbe ammesso, riconoscendo al capo delegazione della Siria che “la delegazione non era veramente rappresentativa”, per poi aggiungere “ma sono questi che abbiamo”. A queste parole l’ambasciatore al Jaafari ha replicato: “In diplomazia non esistono fatti compiuti e la Siria non è un Paese al quale si può dire  prendere o lasciare”.

Dall’intervista rilasciata da al Jaafari trapelano dissensi con de Mistura che “non si è attenuto al proprio ruolo di mediatore”, volendo imporre la discussione di un testo di principi fondamentali che “non aveva precedentemente sottomesso per consultazione al governo siriano”. Il testo, nei suoi principi, ricorda molto da vicino il controverso comunicato di Riyadh 2 e modifica il contenuto di documenti precedenti, come la nota emersa a conclusione di Ginevra 7 in cui si parla del “mantenimento dell’esercito siriano”. Nel nuovo testo si afferma invece il proposito di “creare un esercito siriano” ex-novo, per citare un solo esempio di sottile, ma sostanziale differenza fra i due.

Al Jaafari ha proseguito affermando che de Mistura “voleva discutere della seconda e terza fase ancor prima di averne discusso della prima”, mentre noi “abbiamo discusso con lui soltanto della forma senza nemmeno entrare in merito alla sostanza”. Il rappresentante del governo siriano non ha lesinato critiche alla comunità internazionale, le cui intenzioni “non sono oneste”. Egli ha citato l’esempio del silenzio internazionale allorché “nessun Paese occidentale ha condannato l’azione avvenuta qualche giorno fa, quando Daesh ha dato fuoco a un pilota siriano in ostaggio”. Quando una simile sorte era toccata “al pilota giordano”, ha proseguito al Jaafari, “il mondo era entrato in subbuglio. Qual è la differenza?” si è chiesto “fra un pilota giordano e uno siriano, ambedue uccisi con lo stesso metodo dallo stesso boia? Perché quanto si tratta di un siriano la stessa notizia viene accolta col silenzio e l’indifferenza?”.

La delegazione siriana è rientrata nel fine settimana a Damasco, per mettere al corrente il presidente siriano Assad e il governo dell’andamento dei colloqui - di fatto arenati - e dell’impossibilità di proseguire “finché non verrà ritirata la proposta di Riyadh 2”. Essa è la “mina che l’Arabia Saudita vuole far esplodere ai colloqui di Ginevra” come ha sottolineato l’ambasciatore Bashar Al Jaafari. Gli sguardi ora vanno verso Sochi o Astana, dove la mediazione russo-iraniana-turca sembra corrispondere molto più alla realtà e potrebbe salvare i i negoziati di Ginevra dall’impasse, dando loro una spinta decisiva per farli proseguire.(PB - DS)

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